Sul ddl concorrenza approvato venerdì scorso dal Consiglio dei Ministri, c’è stato un autogol del Governo, che spinge il Ministero dello Sviluppo Economico ad una precisazione che assomiglia di più ad un’arrampicata sugli specchi. E’ quanto scrive in una nota l’UNC in merito alla “spiegazione” del Mise sulle penali per chi recede dai contratti di abbonamento a telefoni.

UNC precisa: “All’art. 16 del ddl concorrenza si legge “l’eventuale penale deve essere equa e proporzionata al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta”. Quindi l’espressione “penale” c’è, eccome! “E’ assolutamente vero, come dice il Mise, che l’espressione si riferisce al recesso anticipato in caso di promozioni, come l’uso dello smartphone, e non al solo recesso, ma è evidente il valore simbolico della parola usata a sproposito da chi ha stilato la bozza (bastava parlare di spese commisurate al valore del bene avuto in omaggio, ossia della promozione o del bonus ricevuto)”.

Dunque, mentre Bersani aveva eliminato le penali, almeno formalmente, con la legge n. 40 del 2 aprile 2007, il Governo Renzi compie il capolavoro di reintrodurle. Inoltre per il solo recesso di cui parla il Mise, quello per chi recede dal contratto di abbonamento al telefono, non si parla di penali, ma il Governo non ha introdotto la portabilità, non ha azzerato le spese di chiusura, come avviene, ad es., per i conti correnti.

Per UNC non si può avere concorrenza, senza perfetta mobilità dei fattori, ossia senza la possibilità per il consumatore di passare velocemente e senza spese da una compagnia all’altra!.

Nel ddl si legge: “le spese e ogni altro onere comunque denominato relativi al recesso o al trasferimento dell’utenza ad altro operatore sono commisurati al valore del contratto e comunque resi noti al consumatore al momento della sottoscrizione del contratto, nonché comunicati, in via generale, all’Autorità per le garanzie delle comunicazioni, esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica”.

Le spese di chiusura, insomma, restano e l’unica novità, rispetto al fallimento su questo punto della lenzuolata Bersani, è che vanno commisurate al valore del contratto e rese note al consumatore e all’Agcom. D’altronde  lo ammette, indirettamente, lo stesso Mise: “la norma… non cambia le disposizioni generali”. Un’occasione perduta e, soprattutto, una norma inutile!!!

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