Italiani popolo di santi, navigatori e giocatori. Così sembra almeno, stando ai dati raccolti da EuroDap: su una popolazione di 60 milioni, il 54% dei cittadini italiani dichiara di aver giocato almeno una volta nella vita e, l’1,5% di essi ha sviluppato una patologia legata al gioco d’azzardo (Gap). Il 63,5% di chi gioca non associa alla propria azione niente di pericoloso, il 27% considera il gioco un’attività eccitante e appena il 10% dichiara che in fondo non vale la pena giocare date le remote possibilità di vincita.

Dati preoccupanti di cui si è discusso nel corso del convegno “Il gioco d’azzardo ai tempi di Internet” che si è svolto ieri presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza. L’Italia, spesso in posizioni poco confortanti per molti dei principali fattori determinanti per la qualità di vita dei propri cittadini, ha eletto il gioco d’azzardo a terza industria del Paese, sfidando qualsiasi record europeo e anche mondiale.“La lista dei primati negativi detenuti dal nostro Paese è molto lunga in questo settore, purtroppo”, fa notare Daniele Poto, giornalista e scrittore che ha collaborato tra l’altro con Libera, “in Italia ci sono 416.000 macchinette – 1 ogni 150 abitanti, 50.000 videolottery, pari a 1/3 di quelle presenti in tutto il mondo, siamo il primo paese al mondo per l’acquisto di gratta e vinci, superando Francia e Cina”. Nel 2014 il movimento in termini economici determinato da tale settore è stato pari a 85 miliardi di euro, di cui 8 miliardi hanno rappresentato il reale indotto che lo Stato ha ricavato dal suo monopolio, a fronte di 23 miliardi di euro lordi entrati nelle casse delle mafie e di circa 900.000 malati di gioco patologico le cui cure costerebbero molto più dell’intero guadagno dello Stato.

Nonostante l’attività delle Forze dell’Ordine per contrastare il fenomeno, specie la parte che riguarda l’illegale, sia particolarmente intensa (nel 2014, ad esempio la Guardia di Finanza ha effettuato 982 sequestri di apparecchi e 2.646 sequestri di punti di raccolta clandestini) ci si continua ad ammalare di gioco d’azzardo. Quali potrebbero essere i motivi che spingono ad assumere un comportamento ossessivo-compulsivo nei confronti del gioco?

La psicologa e psicoterapeuta Paola Vinciguerra risponde che “molto incide la congiuntura di diversi fattori sociali che ci troviamo ad affrontare in questo momento: la crisi economica ha portato tanti ad avvertire un progressivo senso di incertezza e instabilità che ha accresciuto sensazioni di ansia e frustrazione fino al punto di voler trovare un modo, un qualsiasi modo, per cambiare le cose.

Il gioco per molti rappresenta un’opportunità da cui trarre un minimo di soddisfazione”. La diffusione di Internet ha sicuramente accresciuto il rischio di dipendenza “dal momento che esso ha fatto venir meno tutti quei fattori esterni che potevano costituire un deterrente a insistere nel comportamento ossessivo-compulsivo: non c’è più bisogno di uscire fisicamente da casa, si è persa la percezione del denaro, si è al riparo dagli sguardi indiscreti degli altri giocatori”, spiega ancora la Vinciguerra. Cosa fare dunque? “Io sono del parere”, conclude l’esperta, “che sarebbe meglio investire il più possibile in strumenti di prevenzione: l’inibizione non è una soluzione efficace, lo è molto di più l’informazione. Ma bisogna agire fin dall’infanzia a far passare messaggi, mettendo in guardia fin da subito sui rischi patologici e sociali legati a questo tipo di dipendenza senza sostanza”.

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