Uber e le app digitali usate per il trasporto urbano vanno regolamentate nel modo meno invasivo possibile: è quanto evidenzia l’Antitrust, che solleva in questo modo l’attenzione nei confronti della sharing economy e delle nuove forme di mobilità che stanno portando nuovi protagonisti nel trasporto urbano, nuovi “autisti” e numerosi ambiti di scontro, legati anche all’assenza di una legislazione specifica. L’Autorità Antitrust interviene in questo modo nel dibattito su UberBlack, UberVan e UberPop.
L’auspicio è “che il legislatore intervenga con la massima sollecitudine al fine di regolamentare – nel modo meno invasivo possibile – queste nuove forme di trasporto non di linea, in modo da consentire un ampliamento delle modalità di offerta del servizio a vantaggio del consumatore”: questa la posizione dell’Antitrust che risponde a un quesito del Ministero dell’Interno su richiesta del Consiglio di Stato. Occorre dunque disciplinare al più presto l’attività di trasporto urbano svolta da autisti non professionisti attraverso le piattaforme digitali per smartphone e tablet.
Si parla di Uber e delle App che consentono di accedere a questo servizio, in aggiunta o in alternativa ai taxi e alle auto Ncc (noleggio con conducente). Lo sviluppo di tali servizi e l’adozione di strumenti tecnologici simili da parte delle compagnie di radio-taxi, evidenzia l’Antitrust, stanno provocando “complesse questioni d’interferenza” con i servizi tradizionali e questo accade in tutto il mondo. Da qui, la sollecitazione dell’Antitrust a regolamentare il settore per garantire la concorrenza, la sicurezza stradale e l’incolumità dei passeggeri, definendo un “terzo genere” di autisti oltre a quelli dei taxi e degli Ncc.
“L’Autorità – si legge nel parere – intende sottolineare con forza gli evidenti benefici concorrenziali e per i consumatori finali derivanti da una generale affermazione delle nuove piattaforme di comunicazione fra domanda e offerta di servizi di mobilità non di linea. L’utilizzo di questi strumenti, attraverso un più efficiente uso della capacità di offerta di servizi di mobilità presente in un dato contesto urbano, consente una maggiore facilità di fruizione del servizio di mobilità, una migliore copertura di una domanda spesso insoddisfatta, una conseguente riduzione dei costi per l’utenza, e nella misura in cui disincentiva l’uso del mezzo privato, un decongestionamento del traffico urbano”.
Rispetto ai servizi UberBlack e UberVan che si differenziano tra loro per la diversa tipologia di veicoli utilizzati – le berline fino a quattro posti il primo e i mini-bus o monovolume da cinque posti in su l’altro – l’Antitrust ribadisce “la legittimità, in assenza di alcuna disciplina normativa, della piattaforma, trattandosi di servizi di trasporto privato non di linea, come riconosciuto anche dal Consiglio di Stato”. La stessa Autorità giudica “di fatto inapplicabili” gli obblighi stabiliti dalla legge vigente (n.21/92), ritenendo che “una piattaforma digitale che mette in collegamento tramite smartphone la domanda e l’offerta di servizi prestati da operatori Ncc non può infatti per definizione rispettare una norma che impone agli autisti l’acquisizione del servizio dalla rimessa e il ritorno in rimessa a fine viaggio”.
Per quanto riguarda invece UberPop, svolto da autisti non professionisti, l’Antitrust “auspica l’adozione di una regolamentazione minima di questo tipo di servizi, alla luce dell’esigenza di contemperare interessi meritevoli di tutela: concorrenza, sicurezza stradale e incolumità dei passeggeri, anche definendo un “terzo genere” di fornitori di servizi di mobilità non di linea (in aggiunta ai taxi ed agli NCC), ovvero piattaforme on line che connettono i passeggeri…. con autisti non professionisti”.