Libertà e sicurezza, privacy e giustizia: il tema dell’utilizzo dei dati personali è sempre più delicato e il legislatore deve riuscire a trovare l’equilibrio tra interessi che sembrano opposti, mentre invece fanno parte della stessa sfera dei diritti fondamentali. Un esempio di questa diatriba sono le norme sulle intercettazioni: il Garante della Privacy ha espresso le sue preoccupazioni sull’inutilizzabilità di elementi di prova ottenuti con tecniche investigative atipiche, non circondate da sufficienti garanzie. Dubbi che vengono confermati dalle sentenze.

Utilizzando prove illegittime si rischiano di vanificare mesi di indagini, per eccezioni processuali fondate sull’illegittimità del mezzo di prova utilizzato. Le preoccupazioni espresse dal Garante Privacy trovano conferma in recenti sentenze della Cassazione italiana e del Tribunale costituzionale portoghese, che ridefiniscono l’equilibrio tra libertà e sicurezza, diritto e tecnologia, confermando la centralità del diritto alla protezione dei dati personali nella società digitale, per non rischiare di diventare tutti schiavi della logica totalitaria dell’uomo di vetro.

Di questo ha parlato il Garante privacy A. Soro in un intervento sul Messaggero del 9 u.s.Soro ha precisato che il Tribunale portoghese ha dichiarato incostituzionale la legge anti-terrorismo, approvata quest’estate, nella parte in cui autorizza gli organi di intelligence ad acquisire, per esigenze di contrasto del terrorismo, i tabulati telefonici e telematici in base a una mera autorizzazione giudiziale (un po’ come da noi). Secondo i giudici portoghesi, a tutela dei cittadini i cui dati siano acquisiti sono necessarie garanzie maggiori, che solo un controllo giurisdizionale più forte, analogo a quello previsto per il processo penale,  può garantire. Il Tribunale richiama la sentenza con cui, un anno fa, la Corte di giustizia europea ha annullato la direttiva sulla conservazione dei dati di traffico per violazione del principio di proporzionalità tra privacy ed esigenze investigative, esigendo tra l’altro un vaglio forte – giurisdizionale o di un’Autorità indipendente – sul trattamento di questi dati. Il diritto all’intangibilità della sfera privata può dunque essere limitato, nella misura strettamente indispensabile, solo in presenza di esigenze investigative effettivamente accertate, da parte di un organo terzo, con idonee garanzie.

Dell’adeguatezza di queste garanzie si è occupata la Cassazione italiana, che il 26 giugno scorso ha dichiarato illegittime (e dunque inutilizzabili) le intercettazioni ambientali realizzate mediante immissione di virus informatici in uno smartphone, capaci di attivare in ogni momento la videocamera del telefono. Questa tecnica investigativa consentirebbe, in violazione di Costituzione e codice, un controllo totale dell’indagato, esteso ad ogni luogo e contesto, talmente pervasivo da non avere più alcun limite né, del resto,  possibilità di riscontro effettivo.

Questi rischi erano stati sottolineati dal Garante Privacy proprio in relazione all’emendamento proposto al decreto-legge anti-terrorismo di febbraio scorso, che avrebbe legittimato le intercettazioni da remoto, in assenza di garanzie adeguate.

È stato certamente un atto di saggezza lo stralcio di quella norma, come anche di quelle (in materia di  intercettazioni preventive e conservazione dei tabulati), che avrebbero alterato eccessivamente il rapporto tra privacy e sicurezza, così faticosamente ridefinito tra il Datagate e Charlie Hebdo. Con il rischio di rendere la tecnologia non uno sviluppo della libertà ma, per essa, un’insidia. E di dimenticare quanto, riprendendo la giurisprudenza costituzionale tedesca, ci ricordano le due sentenze citate: la sola percezione di poter essere continuamente controllati è essa stessa perdita di libertà.

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