L’obesità può costituire un handicap per chi ne soffre e non deve dar luogo a discriminazioni sul lavoro. Sebbene nessun principio generale del diritto dell’Unione europea preveda un principio di non discriminazione in ragione dell’obesità in quanto tale, questa rientra nella nozione di handicap (e sono vietate le discriminazioni fondate su handicap) se impedisce la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale sulla base di uguaglianza con altri lavoratori. È quanto stabilito oggi dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Una direttiva dell’Unione europea stabilisce il quadro generale per la lotta alle discriminazioni in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. In forza di tale direttiva sono vietate, in materia di occupazione, le discriminazioni fondate sulla religione, le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.

Nella sua sentenza odierna la Corte rileva, innanzitutto, che il principio generale di non discriminazione è un diritto fondamentale e allo stesso tempo ricorda che nessuna disposizione dei Trattati e del diritto derivato dell’Unione in materia di occupazione e di condizioni di lavoro contiene un divieto di discriminazione fondato sull’obesità in quanto tale. La direttiva sulla parità di trattamento in materia di lavoro non menziona l’obesità quale motivo di discriminazione. Di conseguenza, dice la Corte, “il diritto dell’Unione non sancisce alcun principio generale di non discriminazione in ragione dell’obesità in quanto tale, per quanto riguarda il lavoro e le condizioni di occupazione”.

L’obesità però può essere un handicap ai sensi della direttiva sulla parità di trattamento. Per la Corte “la nozione di «handicap» ai sensi della direttiva si riferisce a una limitazione risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Tale nozione – spiega ancora la Corte – si riferisce non soltanto a un’impossibilità di esercitare un’attività professionale, ma altresì a un ostacolo a svolgerla. Infatti, la direttiva si propone di attuare la parità di trattamento e mira segnatamente a garantire che una persona con disabilità possa accedere a un lavoro o svolgerlo. Inoltre, sarebbe in contrasto con la finalità della direttiva che l’origine dell’handicap rilevasse ai fini della sua applicazione”.

Qualora, in determinate circostanze, lo stato di obesità di un lavoratore comporti una limitazione, risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori e qualora tale limitazione sia di lunga durata, una siffatta condizione rientra nella nozione di «handicap» ai sensi della direttiva – spiega la Corte di Giustizia Ue – Tale sarebbe il caso, se l’obesità del lavoratore non gli consentisse di partecipare alla vita professionale in ragione di una mobilità ridotta o dell’insorgenza di patologie che gli impediscano di svolgere il suo lavoro o che determinino una difficoltà nell’esercizio dello stesso”. Ora spetta al Giudice nazionale stabilire se l’obesità del lavoratore rientri nella definizione di «handicap».

La pronuncia odierna scaturisce da un caso sollevato da un tribunale della Danimarca e relativo al licenziamento di un lavoratore che per quindici anni è stato alle dipendenze del comune di Billund (Danimarca) in qualità di babysitter. Nell’ambito di tale attività, era tenuto a occuparsi di bambini nella sua abitazione. Il 22 novembre 2010, il comune ha posto fine al suo contratto di lavoro. Sebbene il licenziamento fosse motivato da un calo del numero di bambini di cui occuparsi, il comune non ha indicato le ragioni per le quali la sua scelta è caduta sul lavoratore, che per tutto il suo contratto di lavoro è stato considerato obeso (secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). La questione dell’obesità del lavoratore è stata sollevata durante il colloquio di licenziamento ma secondo il comune questa non ne è la ragione, mentre un’organizzazione sindacale che agisce a tutela del lavoratore ha ritenuto che il licenziamento derivasse proprio da una discriminazione illegittima fondata sull’obesità. L’associazione ha quindi adito un giudice danese per far constatare tale discriminazione e richiedere il risarcimento del danno. Il tribunale si è dunque rivolto alla Corte di giustizia chiedendo di precisare se il diritto dell’Unione vieti in modo autonomo le discriminazioni fondate sull’obesità e in via subordinata se l’obesità possa costituire un handicap e se rientri nell’ambito di applicazione della direttiva.

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